Perché chi lascia un lavoro fisso non è necessariamente pazzo

Nel lontano 1995, dopo l’ennesima “guerra” notturna in tipografia (nella quale fui sbattuto a lavorare quasi punitivamente per aver abbandonato l’università), tra macchine obsolete e dita che saltavano diedi le dimissioni perchè non riuscivo proprio a vedere un futuro adatto a me.

Qualche giorno dopo aprii la mia prima partita iva. Senza nulla in tasca. Solo un paio di milioni di lire di liquidazione ed il mio diploma di programmatore EDP rilasciato dalla Regione Lazio. E me ne andai di casa.

Oggi a distanza di anni riconosco che sono state più le difficoltà che i vantaggi, e mi ritrovo di nuovo fermo e dubbioso davanti lo stesso bivio di allora, a scrutare sia la strada che va a destra che quella che porta a sinistra: lasciare un compenso fisso, seppur come autonomo, o tentare di costruire veramente qualcosa che mi realizzi.

 

Hey, ma sei scemo? Hai una figlia a cui dar da mangiare adesso” mi ha già urlato il grillo parlante impersonificato dall’interlocutore di turno.

E ammetto che l’effetto del monito rieccheggia devastante nella mia coscienza, ma ho abbastanza esperienza per guardare indietro e capire che se tanto tempo fa non avessi fatto quella scelta apparentemente folle;

  • a quest’ora sarei uno dei tanti operai disoccupati che protestano sotto montecitorio  tenendo uno striscione in mano e un fischietto in bocca (solidarietà, ovviamente)
  • non avrei conosciuto tante persone di culture e madrelingua differenti durante il mio percorso di  esperienza/vita/lavoro
  • non parlerei tre lingue
  • non avrei imparato il mestiere che faccio adesso, che mi rende per certi versi immune dalla necessità di dover per forza vendere la mia arte a qualcuno per sopravvivere
  • non sarei in grado di lavorare in uno o più paesi all’estero

La folle scelta di allora mi ha reso libero oggi di poter fare una scelta altrettanto drastica.

L’ipnosi

E’ vero, senza delle entrate certe difficilmente si può far fronte alle spese, ossia pagamento di mutui, affitti, bollette, rate dell’auto, della tv, del televisiore, del prestito preso dalla banca per le ferie, dei videopoker, del superenalotto ecc ecc.

Non ci si può neanche svagare andando a cena fuori, o al cinema nel multisala con pop-corn e pepsi, andare al mare (ad Ostia nel mio caso) e spendere 50 euro solo per una giornata con ombrellone, sdraio, sedia e panino….

Ma quanto di questo è effettivamente necessario?

I media di massa  ci bombardano continuamente con messaggi più o meno subliminali attraverso i quali ci impongono un modello vincente senza che ce ne rendiamo conto, secondo il quale;

  • dobbiamo consumare
  • dobbiamo competere 

E la cosa non è casuale: l’indebitamento è il meccanismo con cui inconsapevolmente ci leghiamo la catena ai piedi con la palla di ferro ed il lucchetto a doppia mandata, la competizione quello che ci spinge in situazioni nelle quale non vorremmo essere.

Chi è pazzo veramente?

Questo è il motivo per cui hanno creato lo slogan “prendi oggi paghi domani“, o perchè sotto l’estate la banca propone micro-prestiti per andare in vacanza, o ancora perchè fanno a gara per metterci in mano nuove carte di credito ORO (anche se non abbiamo una cippa nel conto): perchè poi perdiamo potere contrattuale nelle questioni che riguardano la qualità della nostra stessa vita.

E siamo costretti ad accettare qualsiasi incarico pur di avere la possibilità di deviare il nostro stipendio dalle casse del datore di lavoro a quello dei nostri creditori. Diventiamo degli ingranaggi.

Una crescita sana

Limitare le proprie necessità ed i propri consumi non è da sfigati perdenti, ma l’unico modo per disertare da questo moderno esercito di schiavi volontari, riprendersi il controllo della propria vita e per impiegare le energie al fine  costruire qualcosa che appassiona veramente e che un domani può darti molte più soddisfazioni di un lavoro dipendente. Partendo magari dal piccolo.

Evitare le competizioni non costruttive è da furbi, non da perdenti. Perchè spesso vengono innescate ad-hoc in ambito lavorativo, ci spingono in situazioni nelle quali non vogliamo essere e ci fanno compiere azione che non vogliamo compiere solo per paura di sembrare perdenti ad occhi altrui.

La vera competizione è con noi stessi, e consiste nel riuscire a vivere come vogliamo limitando i compromessi allo stretto indispensabile.

Una prova che sia effettivamente così già l’ho avuta tanto tempo fa, quando quella scelta folle di lasciare un lavoro fisso per il nulla mi ha reso, a distanza di anni, forte a sufficienza per poter decidere se continuare ad avere il bisogno delle entrate fisse per le tante spese o prendere la valigia e salutare tutti.